17,18-06-23 .
C’è un qualcosa di mistico e surreale in fine settimana come quello appena trascorso, eppure nonostante la fatica e lo sforzo fisico questa volta non indifferente, quello che ne rimane è un grandioso ricordo di una due giorni in perfetto stile alpino, in completa autonomia, senza scorciatoie e mezzi meccanici, in una vera e proprio cima dal sapore di alta montagna.
L’idea di salire al Dom, la settima montagna più alta delle Alpi con i suoi 4546m, la più alta totalmente in territorio svizzero e una delle vette con la maggior prominenza, viene a Marco circa due mesi fa. Nemmeno il tempo di pensarci ed eccoci in cima al nostro amato Nufenenpass, con sempre lì imponenti a guardarci lo zio Finsteraar ed i gemelli Lauteraar e Schreck, tutti e tre scalati proprio come cordata da Marco e Fabietto.
La salita al Dom de Mischabel è tutt’altro che una passeggiata, specialmente con gli sci d’alpinismo. Sciare il Dom è sempre stato un sogno di Marco che sotto sotto attizzava pure me, nonostante il portage immenso che ci aspettava. Da Randa, paese prima di Tasch e Zermatt, a circa 1400m di quota, il primo giorno ci aspettavano infatti oltre 1500+ di salita, sci e scarponi a spalle, senza dimenticare tutta l’attrezzatura da alpinismo oltre al fornelletto da campeggio con la bomobola a gas. Bruciamo la salita in 2 ore e 20 e raggiungiamo il Domhutte 2940m, o meglio, il locale invernale del rifugio ancora chiuso. Freddo, umido, coperte praticamente bagnate. Il risotto alla pescatora impiega quasi 20 minuti a cuocere, unica nota di calore della serata, la notte invece sarà un lento conto alla rovescia aspettando la sveglia. Infreddoliti, con un sacco di energie spese nella notte insonne a causa del freddo e dell’umido, partiamo che è ancora notte. Il Cervino svetta sopra le luci di Zermatt e in nemmeno 15 minuti di cammino raggiungiamo il ghiacciaio dove calziamo gli sci d’alpinismo. Saliamo per un canale al Festjoch, 3720m, e quindi scendiamo sul ghiacciaio. Immensi seracchi, crepacci larghi come palazzi e cattedrali di ghiaccio che svettano sopra le nostre teste. In basso tra i 3700m ed i 4100m la neve è dura, portante e sicura, in alto invece troveremo una spanna di farina che ci costringerà a diversi togli e metti e spallaggi. Raggiungiamo la vetta in quasi 5 ore, lunghe, faticose, ma dal respiro sottile e dal sapore di epico.
Discesa favolosa su farina prima e su firn poi, quindi dal rifugio alla macchina sci e scarponi a spalle. Una discesa che assomiglia ad una lenta ed inesorabile agonia. La scomodità della discesa in retromarcia lungo la ferrata incide sul mal di spalle, ma ancora non so come raggiungo la macchina dove Marco, ben più svelto di me, è lì ad aspettarmi.
Il Dom l’avevo visto in primo piano per la prima volta nel 2015 in occasione dell’ascensione al Nadelhorn e di nuovo lo scorso anno proprio di fronte dal Taschhorn. Due visioni memorabili, la montagna andava scalata, magari anche sciata. Un altro grande sogno che si avvera, sempre in compagnia dell’amico fidato di Valfurva che ormai conoscete tutti. Grazie Marco per la bella idea e per averci creduto fino in fondo. Ready for new adventures.