Gran Paradiso (4061mslm) – Scialpinismo in Valle d’Aosta

Gran Paradiso (4061mslm) – Scialpinismo in Valle d’Aosta

Itinerario

L’unico massiccio montuoso che supera i 4000 interamente in territorio italiano. Uno dei 4000 più facili a livello tecnico, ma uno dei più faticosi a causa del dislivello da percorrere in giornata (circa 1400+). Salita spettacolare in due giorni nel più bel contesto naturale delle Alpi, il Parco Nazionale del Gran Paradiso, con pernottamento al Rifugio Vittorio Emanuele II situato a 2700 metri di quota. Anche questa volta come l’anno precedente sul Monte Rosa è stata una guerra col tempo e con le nuvole minacciose… Tuttavia la vetta è stata raggiunta con successo! In basso su tutta la Valle d’Aosta, sulla Francia e sul Piemonte un incredibile “mare di nuvole”. Stare come in paradiso sul Gran Paradiso? Fatto!

Ancora in ricordo del weekend del 18,19 Aprile del 2015, ormai quasi 10 anni fa! Incredibile come vola il tempo.

Relazione e Racconto

Erano trascorsi solo una manciata di giorni dal grande weekend sul Gran Zebrù e sul Cevedale; avevo avuto appena il tempo di gustare la soddisfazione dei traguardi raggiunti, di sistemare le fotografie e di raccontare a mio padre le bellissime ed emozionanti scalate portate a termine con successo quando mi si presentò di fronte l’occasione per un’altra grande ascensione. Stavolta la cornice non era la Lombardia, né tanto meno il Trentino; l’obiettivo del CAI Edolo era sulle Alpi Graie, tra il Piemonte e la Valle d’Aosta: il Gran Paradiso. Ricordo di averne sentito parlare già alle scuole elementari: sul classico sussidiario nel capitolo inerente le Alpi era spesso citato e se ne trovavano in ogni pagina spettacolari fotografie della flora e della fauna, in primis quelle dello stambecco. Non che i parchi di casa dell’Adamello e dello Stelvio siano meno importanti, ma il Parco Nazionale del Gran Paradiso gode del primato di essere il primo parco nazionale alpino istituito in Italia. Già nel 1922 il Re Vittorio Emanuele III ne decretò la nascita e da allora le bellezze e le meraviglie di quel territorio di oltre 70000 ettari sono tutelate e riconosciute sia a livello nazionale sia a livello mondiale.

Non avevo mai avuto modo di visitare le valli e le vette che lo costituiscono e quindi l’occasione che mi si era presentata andava afferrata al volo. L’obiettivo era la scalata al Gran Paradiso, la vetta più alta dell’omonimo massiccio che si eleva fino alla notevole quota di 4061 metri sul livello del mare; la cima si trova interamente in Valle d’Aosta e quindi risulta a tutti gli effetti l’unica montagna interamente italiana a superare i 4000 metri di altitudine. Tradizionalmente è considerato il quattromila più facile delle Alpi dato che non si incontrano difficoltà tecniche di rilievo lungo l’ascensione, tuttavia, parlando di dislivello da compiere in giornata, quasi 1400+, risulta uno dei più faticosi.

Il lungo viaggio di avvicinamento verso la frazione di Pont del comune valdostano di Valsavarenche è stato entusiasmante: camosci, stambecchi, etc pascolavano tranquillamente a pochi metri dal ciglio della strada ignorando completamente le automobili e i passanti; la fauna non è spaventata dall’uomo come accade solitamente nelle nostre valli e si poteva così apprezzare comodamente dal sedile dell’auto lo spettacolo e la naturalezza dei movimenti di quegli splendidi esemplari. Nelle nostre valli è davvero difficile trovarsi di fronte a pochi metri di distanza e senza che scappino questi animali: la serena e pacifica convivenza fauna-uomo del Parco Nazionale del Gran Paradiso è difficilmente osservabile altrove e per questo motivo volevo gustarmi ed assaporare fino in fondo la magia di quegli istanti.

Parcheggiata la macchina e compattato il gruppo iniziava la salita al rifugio Vittorio Emanuele II, intitolato all’omonimo Re, assiduo frequentatore delle zone già nel 1800 in quanto riserve di caccia reali. La giornata non era malvagia, folte nuvole lasciavano spazio in brevi intervalli di tempo ad ampie schiarite; la meta del giorno si faceva sempre più vicina. Il rifugio era davvero bello, profumava di storia e di un passato ormai lontano; la forma a sesto acuto del tetto in lamiera era originale e luccicava ad ogni raggio di sole che la colpiva. Le vette innevate risplendevano di un bel bianco che contrastava meravigliosamente con i profili rocciosi delle pareti.

Gran Paradiso 4061mslm - Valle d'Aosta

Era ormai sera e la notte calava inesorabile. Il cielo si costellava lentamente di scintillanti stelle; Venere splendeva e donava un ulteriore tocco di magia all’atmosfera di quegli attimi e, nel frattempo, sia i miei occhi sia l’obiettivo della mia fotocamera catturavano bellissime e particolari immagini. Per quanto riguarda la notte preferirei evitare il discorso: presto o tardi riesco sempre a prendere sonno, ma questa volta trascorse in compagnia solo del fedele IPod a ritmo di musica e con gli occhi tristemente sempre spalancati. La sveglia, se così si può definire, fu liberatoria: finalmente potevo alzarmi da quel letto infame che mi aveva racchiuso tutta la notte. Mentre tutto il gruppo era a far colazione io cercavo in qualche modo di riprendere conoscenza; mangiai un paio di barrette, mi preparai con cura e allestii lo zaino in modo da aver accesso immediato al vestiario pesante. Fuori dal rifugio una fitta nebbia avvolgeva con prepotenza tutto il paesaggio e il freddo la faceva da padrone. Sapevo fin dall’inizio che non sarebbe stata una passeggiata, ma di certo il non aver dormito peggiorava di molto la situazione. La partenza non fu delle migliori e ripetutamente mi auto-incitavo alla ricerca di una qualche reazione da parte del mio fisico. Poche volte mi era successo di ritrovarmi in una crisi profonda come quella che stavo vivendo. Magari non lasciavo trasparire nulla, ma se in quegli istanti fossi rimasto al rifugio davanti a una bella fetta di torta alle mele con una bella tazza di cappuccino sarei stato certamente più felice. Inaspettatamente le nuvole e le fitte nebbie che fino a quel momento ci tenevano prigionieri nella loro morsa lasciarono spazio ad un cielo di un azzurro saturo e incantevole. Fu proprio allora che lentamente mi ripresi dallo stato penoso in cui versavo da ormai più di un’ora e iniziai gradualmente a far scorrere gli sci con il ritmo che desideravo; la crisi iniziale era superata e mi misi in fronte al gruppo a battere la traccia lungo le croste nevose del pendio glaciale che stavamo attraversando. La stanchezza post-notte e le condizioni climatiche avverse erano state fino a quel momento i due avversari di quegli istanti e con un solo -fortunato- e rapido colpo vennero sconfitti entrambi. Non restava che stringere i denti e continuare la lunga salita alla vetta. Man mano che guadagnavamo quota ci lasciavamo in basso le nubi: in alto un cielo terso, limpido e blu, sulla linea dell’orizzonte e in basso, invece, un immenso lenzuolo di nuvole interrotto saltuariamente solo dalle aguzze cime delle montagne valdostane che ne bucavano lo sviluppo orizzontale; son stati momenti unici  che ricordo con piacere ancora adesso mentre scrivo queste righe seduto davanti alla scrivania. Erano trascorse parecchie ore dalla partenza quando, superato un immenso muro di ghiaccio verticale aggirandolo a destra lungo la spalla nevosa, le nubi ci avvolsero nuovamente. La vetta era ormai vicina e quindi, superato un piccolo crepaccio, ci portammo all’imbocco della cresta rocciosa che ci avrebbe condotto sulla sommità. L’aria era sottile, il freddo tagliente e il vento piuttosto fastidioso; tolsi con attenzione gli sci, calzai i ramponi e in compagnia di Roberto e dei due Luca iniziammo a percorrere il tratto roccioso. Sulla destra un muro verticale di roccia cadeva a piombo sul ghiacciaio della Tribolazione, sulla sinistra profondi seracchi, di fronte in primo piano un piccolo balconcino attrezzato con corde fisse e in secondo piano la vetta. Con delicatezza attraversammo la breve cengia e toccammo così la bellissima statua della Madonna posta sulla cima. Era difficile non subire il fascino di quell’atmosfera spettrale e severa: il bianco delle nubi attorno a noi, il colore rossastro delle rocce,  lo scricchiolio dei ramponi, il sibilare del vento lungo la cresta, il silenzio di quegli istanti… Inutile dire che era come sentirsi in paradiso; come diceva Gaston Rebuffat poi “A quattromila metri l’aria ha un sapore particolare” e chiunque abbia respirato a quelle altitudini sa che cosa voglia dire. Era fatta.

Gran Paradiso 4061mslm - Valle d'Aosta

Il confronto con le difficoltà fisiche e psichiche che avevo purtroppo incontrato quel giorno e la mia vittoria su di esse aveva reso quella scalata diversa da come me l’ero immaginata; era stata un’esperienza incredibile e mi sentivo cresciuto sia dal punto di vista umano sia dal punto di vista alpinistico, perché l’alpinismo non è solo scalare una parete o raggiungere la cima della montagna, ma è anche sapere come il tuo corpo reagisce alle avversità, è imparare a gestire i momenti di difficoltà, è superare e conoscere fino in fondo se stessi: sì, l’alpinismo come lo intendo io è questo! Gli alpinisti professionisti aprono vie nuove e fanno record di ascensioni, ma gli “alpinisti normali” come me, come mio padre, come la maggioranza di voi che state leggendo queste parole non devono fare altro che concentrarsi solo su se stessi, sui propri limiti e sulle proprie possibilità per riuscire a vivere le stesse emozioni che un Jornet o un Barmasse vivono nello scalare le grandi pareti nord delle Alpi o le grandi montagne himalayane. In due anni che pratico questa disciplina questo è ciò che ho imparato e questo è ciò che voglio dall’alpinismo.

Qualcuno concorderà con me, altri mi criticheranno, ma andare in montagna alla fine è soggettività pura: la montagna è di tutti e ognuno è libero di viverla come meglio ritiene. C’è chi la vive inseguendo record, chi la vive come un lavoro, chi la vive solo per scopi ludici e chi, come me, la vive come una palestra di vita dove imparare ad apprezzare le piccole emozioni, dove conoscere se stessi e dove formare il carattere. Quando lo scalatore o sci alpinista che sia riesce nel mimetizzarsi nella montagna diventando tutt’uno con essa allora tutto, come i problemi della vita di tutti i giorni o la paura, passa in secondo piano e tutto ciò che si sente è felicità, felicità pura.

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