D, IV, 55°, 3050+
Ricordo bene quando il grande Franco Nicolini alla serata del CAI Edolo di qualche anno fa disse: “Se volete trovare sulle Alpi una valle ed una Montagna con la M maiuscola che assomiglino in tutto e per tutto a quanto trovereste in Himalaya, beh andate a scalare lo Schreckhorn nell’Oberland Bernese“.
La curiosità mi ha sempre tenuto vivo questo ricordo. Volutamente non ho mai nemmeno approfondito, mi sono solo accontentato di qualche frase sparsa qua e là sui libri e sul web: “Il 4000 la cui normale è riconosciuta come la più difficile e complessa delle Alpi”; “il 4000 con il maggior numero di ore di cammino necessarie per l’attacco alla via”; “Il 4000 più a nord della catena alpina”; “Il 4000 sulle Alpi in perfetto stile Himalayano”…
In effetti l’approccio in “stile alpino” su montagne di questa categoria è un qualcosa di mistico. Si parte a circa 1000m di quota al parcheggio in fondo a Grindelwald, spettacolare paese in Canton Berna situato al diretto cospetto della terrificante parete Nord dell’Eiger. Si sale fino allo Schreckhornhutte a 2527 metri di quota. Sono necessarie in media 4/5 ore, noi allenati e altezzosi abbiamo spaccato l’orologio in 3 ore e 40’.
La vista è spettacolare, i giganti dell’Oberland sono qui di fronte ai nostri occhi: Monch, Eiger, Finsteraarhorn e sopra le nostre teste lui, lo Schreckhorn, tradotto in “Corno del Terrore”, ben 4078m. Il rifugio è accogliente, si mangia bene, si paga il giusto e visto che siamo solo in 14 si è anche “dormito” bene. Di quei 14 nel rifugio solamente io e Marco Trezzi tenteremo l’ascensione alla cima la mattina seguente. Negli ultimi 2 anni gli unici italiani ad essersi firmati nel libro di rifugio siamo io, Marco e le due guide trentine che qualche giorno fa hanno concluso proprio sullo Schreckhorn la salita degli 82 quattromila delle Alpi. Il rifugista ci propone la colazione alle 2:00. Noi dormiglioni la rimandiamo alle 3:00. Siamo soli.
Fuori l’incognita meteo si dimostra peggio di quanto avessimo previsto: nuvoloso, forte vento. Ci facciamo coraggio e scendiamo sul ghiacciaio, seguiamo la morena laterale e iniziamo la lunga scalata fino al ghiacciaio soprastante. Sono le 4 e mezza e abbiamo davanti a noi il couloir da salire che ci avrebbe portato alla cresta rocciosa a difesa della vetta. Le nubi si alternano a qualche minuto di pioggia, siamo demoralizzati. Pensiamo non sia il caso di proseguire. Diamine! Beviamo, mangiamo qualcosa e in lontananza ecco apparire del cielo sereno, è un semplice schiazzo, ma basta per farci rimboccare le maniche. Marco decide di salire davanti, mi avrebbe lasciato tutte la via di roccia in cresta da liberare. Il canale è ripido, circa 50°/55°, ma la neve già molle ci supporta bene, anche se peso più di Marco non trovo grossi problemi a seguire le sue peste. Raggiungiamo la sella, fa freddo, nevischia. Noi però siamo fiduciosi.
La cresta è lì davanti a noi, terribile, non me l’aspettavo così repulsiva. Difficoltà continue e costanti sul III+ con numerosi passi gradati IV. Piazzo friend, tra roccia e ghiaccio, nei tratti più sicuri proseguiamo in conserva, in quelli più difficili ed esposti preferisco progredire a tiri di corda. Le raffiche di vento spezzano il fiato, il verglas sulla roccia rende il tutto più delicato e pericoloso, l’arrampicata su misto con i ramponi distrugge i polpacci, ma noi non molliamo. Siamo finalmente in vetta. Non facciamo nemmeno filmati o troppe foto, giusto qualcosa come ricordo. Siamo abbastanza al limite.
La discesa su montagne di questo calibro è spesso più complessa della scalata. Ho perso il numero delle calate in doppia, saranno state più di una decina da 30 metri l’una. Il canalone con neve ormai marcia lo scendiamo a piedi disarrampicando. In fondo superiamo il seracco terminale, attraversiamo il ghiacciaio, valloni detritici e nevosi, fino di nuovo al rifugio e quindi, sotto un breve temporale estivo, siamo di nuovo a Grindelwald.
16 ore intense, impegnative, su quello che ad oggi per il sottoscritto è stato il 4000 più difficile mai scalato, a mio parere ben più difficile della Cresta del Leone del Cervino. L’isolamento, le ore ed ore dalla civiltà, il non aver nessun altro accanto se non il proprio compagno di cordata per cercare la via, scovare i passaggi… Un’esperienza mistica. Un viaggio indimenticabile.